PENTECOSTE
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 20,19-23)
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Ancora una volta, la terza, nella versione di Giovanni, Gesù risorto visita i suoi discepoli e questo avviene alla sera della Pasqua: “La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato…”. I discepoli, pur sapendo che il sepolcro era vuoto e nel frattempo avevano ricevuto l’annuncio della Risurrezione da Maria Maddalena, non hanno ancora incontrato il Signore risorto.
È importante che qualcuno lo abbia visto, ma non è sufficiente. Ricordiamo l’episodio dei discepoli di Emmaus o l’esperienza di Maria Maddalena chiamata dal Signore con il suo nome, quasi come lo sposo che chiama per nome la sua sposa: “Maria” (Gv 20, 16). Si, non è sufficiente neanche questo perché bisogna giungere all’incontro con Lui da parte di tutti. Non è sufficiente che uno o due l’abbiano visto; è necessario che tutti, la comunità intera, lo veda, lo contempli, lo ascolti. C’è ancora un clima di paura, di sgomento e forse dell’umano scetticismo e scoraggiamento: le porte erano chiuse, sprangate. Cosa aspettavano, forse niente o forse qualche segno? L’umore certo non era dei migliori se leggiamo: “le porte erano chiuse per timore dei Giudei”. La visione-presenza del Risorto avvenne la sera e questo richiama la Pasqua degli Ebrei quando una nube illuminò le tenebre nella Pasqua del popolo ebraico: “… La nube era tenebrosa per gli uni, mentre per gli altri illuminava la notte” (Es 14, 20). Gesù apparendo di sera si presenta come la nuova Pasqua che libera l’uomo dal male. Certamente fa riflettere come il Signore, in questo episodio, preferisca l’incontro con l’intera comunità. Non ci può essere annuncio di Cristo senza l’esperienza della comunità. Dopo tanti secoli, purtroppo, siamo stati capaci di capovolgere l’esperienza della prima comunità madre con l’imperante e pericoloso individualismo. È vero, lo abbiamo meditato e detto prima, Gesù incontra anche singoli come la Maddalena e i due discepoli di Emmaus, ma la preoccupazione è stata sempre il “raccontare” agli altri, alla chiesa. Molti oggi preferiscono più un cosiddetto incontro, quasi esclusivamente privato, con Cristo, ma questo non si evince dai Vangeli. Il Signore incontra la chiesa che nasce e alla quale vuole offrire il dono dell’unità, che è lo Spirito Santo, il suo Spirito creatore. È una chiesa paurosa, debole, timorosa, forse sfiduciata, triste: “Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute” (Lc 24, 21)
Siamo stati capaci di trasformare il progetto del Signore, che è la comunità, in una sorta di “religione” dove prevale il singolo, il privato religioso, una sorta di “usa e getta” secondo i bisogni, le opportunità, i pensieri soggettivi. Non comunità, ma singoli religiosi!
Non è questo il pensiero dell’Uomo dei dolori, morto e risorto, che ha donato il segreto della sua vita: lo Spirito che “procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato” (Professione di fede). Siamo capaci a volte di vanificare il progetto di Dio con le divisioni, gli antagonismi, i progetti secondo noi e non secondo Dio. Purtroppo anche nella Chiesa, in tutte le sue espressioni, prevale spesso il protagonismo dell’io che causa paura, isolamento, mistificazione e questo mentre remiamo nel mare aperto e spesso burrascoso dei nostri giorni. Prevalgono le vedute personali e si accoglie con fatica Spirito di comunione, che è il timone nel mare burrascoso dei tempi. Gesù appare ai suoi, tanto fragili, come appare a noi, soprattutto la Domenica, bisognosi di luce dopo il buio del male sia interiore che esteriore; bisognosi del calore dato dell’amore. Il suo Spirito non è più, come allora, con noi, ma in noi. “Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me… Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15, 4).
Con la Pasqua, alla vita “con” è subentrata la vita “in” di Gesù nella comunità. Questo è il mistero grande, originale della vita cristiana. Lasciarsi visitare dal Signore, lasciarsi innestare in Lui, luce del mondo, vuol dire portare luce e di questa luce ha bisogno la nostra società e il tempo che viviamo. Gesù ci invita a “rimanere” in Lui, che significa dimorare in Lui.
Ora dimorare vuol dire condividere, vivere nell’altro e per l’altro. Alla religiosità esteriore vissuta più come obbligo, o come esteriorità, Gesù oppone la religione della comunione, dell’amore, dell’adesione di vita.
Il nostro Maestro nel discorso sul pane della vita ritorna su questo tema della in abitazione: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui” (Gv 6, 56). Mediante l’accoglienza della Parola e del Pane spezzato viviamo l’esperienza dell’essere “in” per poi dell’essere “con”. E dicendo dell’essere in vuol dire che il motivo del nostro vivere come cristiani, come discepoli non è nella vostra buona volontà, ma nell’accogliere Lui e il dono del suo Spirito. Non si può rimanere in Cristo senza la presenza dello Spirito Santo, lo Spirito dell’amore, che è unità: questa è la Chiesa, questo è il discepolo, questo permette a ciascuno di noi di essere portatore del suo messaggio, della sua presenza, della sua pace: la pace dell’amore di Dio che vince l’odio.
Una pace che è riconciliazione. Celebrando l’Eucaristia facciamo memoria dell’amore del Signore, riceviamo il suo Spirito e siamo invitati nella società, nelle famiglie, nei luoghi di lavoro, di cultura, di svago, nell’impegno di costruire la casa degli uomini, per portare la riconciliazione ricevuta nella celebrazione della Parola e dell’Eucaristia. La comunità cristiana mangia e beve, accoglie la parola e il pane, assimila questo duplice cibo che fa “abitare” noi in Lui e Lui in noi (cfr. Gv 6,53-58).
Per questo cibo, in questo giorno di Dio, scaturisce la gioia propria di chi dimora nell’amore: uniti a Lui come il tralcio alla vite; la sua gioia è in noi. Una gioia come modo di essere, non certamente di circostanza, provoca desiderio di Dio e dell’uomo: la comunità dei discepoli del Risorto, con la luce e la forza dello Spirito Santo diventa testimone, oggi, di ciò che è accaduto ieri e di ciò che continua e continuerà ad accadere fino alla resurrezione dei morti quando tutti saremo in Dio e Dio sarà tutto in tutti. (cfr. 1 Cor 15,28).
Esprimiamo la gioia del cuore per essere stati chiamati dal Signore risorto nella sua Chiesa per vivere la comunione, attraverso il Salmo 103: “Benedici il Signore, anima mia, Signore, mio Dio, quanto sei grande!… A Lui sia gradito il mio canto: la mia gioia è nel Signore”
Don Pierino