XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 22,34-40)
In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Gli rispose: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».
Questo brano sembra apparentemente una massima per essere più buoni, se possiamo. In realtà è la progettualità della felicità. L’amore non è l’emozione, non è neanche la semplice attrazione, ma è il mistero della nostra realizzazione.
Vive chi chiama, non vive chi non ama! Per questo Dio esiste da sempre. Solo lui è amore e creando ci ha fatti a sua immagine, cioè capaci di amare come Lui: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”(Gv 15, 17). L’amore di Dio si è espresso sin dall’origine del mondo.
La pagina di Genesi ci dice che Dio disse… Questo “dire” non è un verbo, ma una offerta di sé nella gratuità, in quanto non era necessitato da nessuno e da niente; in Lui c’è stato solo un desiderio: comunicare se stesso.
Questa comunicazione è diventava creazione per mezzo della sua Parola, che era la sua stessa identità, la sua ricchezza, il suo essere: il suo Verbo: “E Dio disse”.
“Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui niente stato fatto tutto ciò che esiste” (Gv 1,3). L’amore in Dio non è una caratteristica, ma l’essere: “Dio è amore” (1 Gv 4,16).
Creando il mondo, e quanto questo contiene, Dio ha comunicato se stesso come amore. Ciò vuol dire che noi siamo grazie a questo comunicarsi che Dio realizza nel tempo. Per questo la Bibbia, a proposito della creazione dell’uomo, afferma che “Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò” (Gn 1,27).
Quindi all’inizio della creazione non dobbiamo contemplare prima la potenza del Creatore, quanto il suo desiderio di comunicare se stesso. Noi siamo uno sprazzo di luce, una gemma vitale di questo grande albero di vita che si caratterizza come amore: “Dio è amore e chi sta nell’amore sta in Dio e Dio in lui” (1Gv 4,16).
Siamo la visibilità dell’essere e dell’agire di Dio nel tempo. Per questo Gesù insegna che amare è l’unica possibilità che noi abbiamo di dire Dio nel tempo degli uomini.
Siamo chiamati a ri-cordare, cioè a portare permanentemente nel cuore che l’essenza del nostro essere, non è la precarietà del limite, o la fragilità della natura, ma la stessa essenza di Dio: l’amore. Conseguenzialmente capiamo l’uomo e la creazione intera non come realtà caduca, ma come identità divina.
Amare è avere l’altro nel profondo di noi; è accorgerci che l’altro, chiunque sia, è possibilità per me di esserci, pena la scomparsa della mia identità nella storia.
L’amore rende simili e fa sì che uno diventi vita dell’altro. Non si può “capire” l’altro con la mente, ma solo con il cuore. Amare è avere l’altro nel cuore; non è questo Dio?
Quel’: “disse” non è il nostro dire, ma il comunicare se stesso, il profondo di sè. Siamo perché Dio si è comunicato a noi grazie al suo Verbo, cioè alla sua Parola, al suo mondo, facendoci così entrare nell’amore che in Dio non è un sentimento, ma il suo essere. Di conseguenza dobbiamo ricordare che siamo stati fatti per amare senza distinzione alcuna, senza le categorie del tempo, ma nella totale disponibilità verso quell’altro che ha in sé il segreto dell’essere di Dio: l’amore! Se nel progetto di Dio amore noi siamo stati voluti, creati e mandati, compito nostro è ricordare sempre chi siamo. La nostra vera identità non è data da una carta di anagrafe, magari sbiadita, ma dal dito e dal cuore di Dio. Siamo dall’eterno, espressione di questa partecipazione di se che Dio ha voluto offrirci. Ciò vuol dire che amare è paradiso, non amare è vivere l’inferno esistenziale. Chi non ama è già nella morte, e quanti morti circolano sulle nostre strade, vivono nelle case, negli ambienti vari dove si costruisce il presente e si programma il futuro! Questo evidenzia un vissuto dove l’io è la guida, l’ispiratore di pensieri e di azioni e questo provoca l’annientamento dell’altro. Constatiamo così l’opera del demonio il quale non è vita, non dà vita, come non l’ha offerta ad Adamo ed Eva.
Se la vita di Dio è l’amore, la vita di coloro che sono stati creati da Lui e riportati a Lui dal Cristo, attraverso il suo dono di vita sul Calvario e la sua risurrezione, la nostra vita non può se non essere l’amore accolto e offerto. Da qui deriva l’importanza da una parte di vivere nella lode a Dio per averci fatti compartecipi del suo essere, e dall’altra l’impegno ad essere nel quotidiano emanazione, irradiazione, “sacramenti” del suo amore per gli altri. Questi, per il discepolo del Crocifisso risorto, non sono solo il prossimo, ma il fratello, la sorella che si hanno nel cuore, nella vita, come segno dell’amore di Dio, a prescindere dalla loro situazione psicologica, morale, relazionale, religiosa. L’altro è parte del mio mondo; ha lo stesso alito di Dio: il suo Spirito, proprio come me; per questo l’altro è per me una parola particolare del grande discorso che Dio fa alla storia. L’amore che ci accomuna: quello di Dio, deve essere l’amore nostro verso il prossimo senza ma e senza se. Quando ciò non dovesse realizzarsi a causa della nostra miopia o arterosclerosi, diveniamo uccisori del fratello, proprio come Caino. Dobbiamo tendere ad un desiderio di fratellanza, alla costruzione di un “paradiso terrestre” dove la legge è guardare l’altro come lo guarda Dio e quindi riconoscendo di essere fratelli in cammino verso la meta della piena realizzazione quando saremo in Dio e Dio sarà tutto in tutti; quando Dio asciugherà le lacrime su ogni volto e il Cristo risorto ci riconoscerà come fratelli che hanno percorso un tratto di strada, che è la nostra vita, secondo il suo esempio, il suo insegnamento, da crocifissi che hanno avuto il dono di guardarlo, contemplarlo, ascoltarlo, dicendogli come e con il buon ladrone: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno” (Lc 23,42) e sentirci rispondere da lui: “In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso” (Lc 23,43,43).
“Ti amo, Signore mia forza” (Sal 17).
Don Pierino