SANTISSIMO CORPO E SANGUE DEL SIGNORE
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6,51-28)
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Una delle pagine più belle, più intriganti, più forti, più originali, più strane, più misteriose, ma più essenziali è questa che abbiamo sotto i nostri occhi e che, portata nel cuore, ci fa gridare come i bambini: oh… che meraviglia! Dovremmo tenerla sempre davanti agli occhi per farne memoria e nel cuore per farlo sussultare! Siamo destinati ad essere “luogo” di incontro tra Dio e l’uomo nei tempi; siamo destinati ad essere, scusatemi l’ardire, come e più di Maria. Sì, perché la Madonna ha generato il Verbo eterno di Dio per la storia: dopo i nove mesi lo ha dato al mondo.
Noi come Chiesa lo generiamo permanentemente e lo portiamo non una volta, come lei alla cugina Elisabetta, ma quotidianamente e a tutti, soprattutto a coloro che hanno fame di questo pane e sete di questa acqua. “Chi mangia di questo pane vivrà in eterno…”, “Chi beve di quest’acqua non avrà più sete…”, e questo fino alla fine del mondo, grazie anche alla sua intercessione continua, alla sua materna carità. Accostarsi a questa pagina offrendo spunti di meditazione, di contemplazione per un rendimento di grazie è come scalare una montagna con la certezza che al termine, sì, come i bambini, dovremo cantare alla meraviglia di una fantasia di Dio che supera ogni pagina della storia della salvezza. L’Eucaristia è la vetta alta alla quale ci invita perché ci fa elevare talmente a Lui da sentire i gemiti dell’amore sconfinato per tutti i suoi figli e per tutte le creature. Dire Eucaristia, dire Pane spezzato è dire cuore, corpo dato, vita offerta. E’ dire compagnia sicura, ma ancor più è dire con Lui: “Come il Padre ha amato me, così io ho amato voi, rimanete nel mio amore” (Gv 15,9). L’Eucaristia è il canto dell’amore; è il canto dell’Amato nell’abbraccio dell’amata; è il dono del suo corpo in quella intimità che è ebbrezza, abbandono, dono, vita piena. Per questo Gesù dice: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita…” (Gv 6,51), e “chi mangia di me vivrà per me” (Gv 6,57). L’avventura del povero cristiano nella storia è nella certezza di essere abitato, nutrito, accompagnato; fatto in lui pane perché altri viandanti possano mangiarne e camminare verso la meta. In questo Pane c’è tutta la Parola di Dio all’umanità; c’è il passato, il presente il futuro dei singoli, dell’intera storia dell’uomo e del cosmo intero. Tutto ha senso grazie a quell’Ostia; tutto ha vita grazie al quel pezzo di pane.
Per mezzo di questo dono di Cristo tutto sarà ricapitolato in Dio “e Dio sarà tutto in tutti” (1 Cor 15,28). Eppure, se ci riflettiamo, è un modesto, piccolo pezzo di pane! È la scelta di Dio e di Cristo. Dio sceglie di farsi creatura, lui che ne è il creatore. Il Dio creatore, l’onnipotente, al quale il mare, i cieli, la terra obbediscono si fa creatura seguendo la logica della fragilità, tipica caratteristica dell’umano.
Da Betlemme la storia ha capito di trovarsi davanti all’indicibile: Dio infinito si fa tempo; Dio creatore si fa creatura; Dio datore di vita si fa talmente creatura che tutto fa come l’uomo: nasce, che stranezza! Un Dio che nasce; cioè che l’infinito diventi tempo; lavori con mani di uomo, soffra come l’uomo e a causa dell’uomo, muoia come ogni creatura. In tutto uguale a noi, eccetto che nel peccato. Tutto perché l’uomo abbia la vita e l’abbia in abbondanza. E proprio nel mistero “dell’annientamento di Dio” l’Amato rivive e chiama ancora una volta la sua amata sposa: la chiesa a condividere la vita che va oltre la storia. Nel pezzo di pane spezzato, dato, il Cristo risorto coinvolge la sua sposa in questa avventura che va oltre il tempo e nel frattempo la educa alla condivisione totale nel servizio, nel dono, nell’abbandono, nel farsi pane, mangiando il pane spezzato. Questo movimento si chiama fede, credere. Sì, perché mangiare Lui nel segno del pane, bere Lui nel segno del vino vuol dire condivisione. Credere in Gesù vuol dire mangiare, essere in comunione tra lui che dà la vita ed il suo discepolo che la riceve. Ciò che distingue il mangiare umano da quello animale è proprio il suo essere comunicazione d’amore interpersonale che culmina nella parola scambiata con l’altro e nella intima gioia dell’appartenenza. Noi dobbiamo mangiare questo pane, questa carne, cioè il figlio dell’Eterno, assimilandolo, amandolo, adorandolo: questo significa credere! Se l’uomo diventa ciò che mangia o meglio ciò che ama noi amando e mangiando lui diveniamo figli di Dio. La fede non è acquisizione di verità, ma una relazione d’amore dove il darsi, il donarsi, l’abbandonarsi diventa felicità di appartenenza. Tante volte ci nutriamo del Pane che dà la vita come se fosse un semplice rito richiesto dalla liturgia. Quel Pane che si riceve e l’Amen che si dice non è solo o tanto espressione di fede, ma è un “Si, accolgo te”: tipica formula della realtà matrimoniale che significa comunione di vita, di condivisione totale, di appartenenza che va oltre l’oggi del rito. “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita…” (Gv 6,54). Gesù dicendo questo vuol significare la bellezza ma anche la drammaticità della comunione con Lui che parla della sua croce dove ha dato il suo corpo e versato il suo sangue. L’amen è sì atto di fede, ma anche di rei atto di amore, che è condivisione. Chi è il cristiano? Chi è il discepolo? Colui che mangia di Cristo, chi vive la sua stessa vita, chi condivide Lui tanto da considerarlo suo sposo. Questo vale per la Chiesa nella sua globalità e per il singolo discepolo che con gratitudine, con gioia e trepidazione si accosta per mangiare non tanto un po’ di pane, un Ostia, ma tutto il mistero di Cristo: “Prendete e mangiate questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi… Fate questo in memoria di me” per essere pure noi, a nostra volta, pane spezzato per la storia familiare, lavorativa, ecclesiale, culturale, politica, di sofferenza, cioè per tutti gli ambiti nei quali siamo chiamati a testimoniare la nostra identità di discepoli del Cristo. Allora il cristiano che si comunica diventa l’Epifania di quel Dio che nessuno ha mai visto; diventa luce del mondo, sale della terra, acqua che irrora le aridità dei giorni, fuoco che riscalda i cuori affranti. Questa è la modalità cristiana di essere discepolo, questa è la fede! La coscienza di poter “dimorare” in Cristo ci porti al bisogno di “mangiare” di questo Pane uniformando la nostra vita a Cristo, in tutto: pensieri, parole ed opere tanto da poter dire con San Paolo: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2, 20). Senza questa nuzialità sperimenteremo la solitudine interiore, che è come la morte. “Benedetto il Signore, gloria del suo popolo”.
Don Pierino