In questo periodo pubblicheremo alcune riflessioni e preghiere fatte da nostri amici durante i primi tempi della Pandemia per condividere paure e speranze e con l’auspicio che anche altri possano offrire il loro contributo inviando a: info@parrocchiasanlazzarolecce.it
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Sembrava lontano, il Covid 19, e inoffensivo…. ma quando ho avuto notizia del primo caso a Verona, dove vive mia figlia, sono stata male.
La prima sensazione è stata di angoscia e di impotenza, di fronte all’ ignoto: tutte le informazioni (troppe e tante volte distorte o, almeno, incoerenti tra loro…) che hanno cominciato a bombardarci aumentavano, di ora in ora, il disagio e la paura. Ho cercato sostegno e rifugio negli affetti e nello amicizie sicure, in persone che mi potessero rassicurare o con cui potessi, almeno, condividere il mio stato d’animo.
Ho pregato con fervore, all’ inizio, cercando conforto negli incontri comunitari trasmessi in streaming.
Ho provato sentimenti di solidarietà e di preoccupazione per le persone lontane e ho avuto bisogno di sentirle, per accertarmi che andasse tutto bene…Mi sono dovuta adattare a modalità lavorative diverse e per me, destabilizzanti nella loro discontinuità: il lavoro da casa o in ufficio, con l’errore di entrare a contatto con la gente o, meglio, col virus…i clienti esasperati dalle difficoltà economiche e la voglia di provare a dare una mano, quando possibile, coi pochi mezzi a disposizione, a dispetto dei proclami del governo….Poi, però, mi sono come anestetizzata: il balletto di informazione e di numeri quotidiani è diventato routine e, meno ero chiamata a fare, me, o avevo voglia di fare…nemmeno la preghiera mi dava più conforto, anzi, seguivo gli incontri svogliata e senza alcuna concentrazione. Mi sono sentita sospesa, come in una situazione irreale, che non avevo scelto di vivere e che mi era capitata addosso all’ improvviso…un po’ come il terremoto del 1980 in Campania…sembra quasi che tu non sia più padrone della tua vita, alla mercé di un virus invisibile – adesso – o di un breve fremito della terra -allora -. In entrambi i casi, impotente.
Ho dovuto fare i conti con la delusione e le angosce delle mie figlie, che ( hanno visto la pandemia congelare (se non azzerare…) le loro aspettative di lavoro, con rinvii, ritardi e sospensioni che rischiano di vanificare i loro sacrifici di anni di studio…le ho confortate, ho cercato di motivarle, non sempre con successo.
Devo dire, però, che ci sono stati anche dei lati positivi: i ritmi si sono rallentati, ho potuto dedicarmi alla lettura o a vedere un film con mia figlia, ho cucinato un po’ di più, mi sono riposata… Come coppia e come famiglia, abbiamo potuto verificare la solidità dell’ intesa, il gusto di stare insieme, la complicità di piccoli gesti di tenerezza, di maggiore gentilezza nei rapporti, quasi a voler contrastare ed .esorcizzare la violenza del momento, che ci ha privati di libertà ed autodeterminazione.
Ora, resta la sensazione di aver vissuto un incubo, con le processioni dei morti e la disperazione di tanti che hanno perso le proprie certezze…resta una sorta di senso di precarietà, di diffidenza nei confronti delle persone, quasi il bisogno di continuare a difendersi….
Ma c’è pure la voglia di ricominciare una vita normale, di rapporti sereni, di continuità, di sorrisi….seppur dietro alle mascherine.
Anna
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Un pastore a Betlemme
È una notte iniziata come le altre …, nella campagna di Giudea che, silenziosa, ci ospita; siamo un gruppo di pastori, che, dopo un giorno di cammino, con le nostre greggi, portate al pascolo, stesi per terra, avvolti in caldi velli, intorno al fuoco che ancora arde, cerchiamo riposo nel sonno… Succede d’un tratto, che un raggio di luce sfolgorante ci desta e il canto di una pastorale celestiale ci invita a metterci in piedi e ad andare lesti: un evento straordinario ci attende a Betlemme, dove il Re dei re, appena nato, ci attende. In men che non si dica, senza porci domande, come spinti da una forza misteriosa, lasciamo le pecore a due di noi, che faranno da guardiani, e ci avviamo per un noto sentiero, illuminato a giorno dalla stella. Siamo silenziosi, in preda ad uno stupore enorme, accompagnato dal timore che incute la situazione, a dir poco straordinaria, incomprensibile per noi! Ogni pastore porta con sè, in dono, qualcosa: latte, caglio, ricotta; due, fra noi, hanno preso in spalla un agnellino per uno, che bela. Mentre camminiamo, un pensiero mi torna alla mente, un ricordo della mia infanzia ancora chiaro, nonostante le varie decine d’anni trascorsi: in un dopo pranzo, d’inizio primavera, mentre ero sulla porta di casa, che introduceva nell’orto, dal muro alto, imbiancato a calce (che un rampicante, dai fiori viola, ravvivava), scendeva il sole che mi raggiunse e mi riscaldò il cuore, come un abbraccio paterno. Più di una sensazione quello fu un incontro, che mi incoraggiò, tanto da farmi sussurrare “Dio mio!”… Interrompo il ricordo perché la stella guida si ferma su una grotta: rientriamo e, con una riverenza a noi ignota, ci prostriamo, adoranti, davanti a una mamma che ha in braccio un bambino, neonato, che dorme. A poca distanza un uomo, certamente il padre del piccino, tace: in contemplazione amorosa, non smette di fissare la sposa ed il figlio. Lasciamo i poveri doni, mentre il cuore intenerito mi sussurra nel petto, come quella volta da bambino nell’orto, “Dio mio!”. Intorno è solo pace grande che scioglie il male che provano le nostre membra, stanche per il lungo cammino, e la paura della morte che, frequentemente, ci abita nell’intimo. Il Re venuto dal Cielo fa nascere in noi, persone avide e insensibili, un bisogno di preghiera fino ad ora ignoto, che ci commuove tanto da farci piangere… “Amici, anche noi, coni pastori, andiamo davanti a un presepe, che ci richiami Betlemme, e, ai piedi del Bambino, deponiamo liti, vani desideri del superfluo, e quelle paure che ci sviliscono, per decidere di amarci un po’ di più, e trovare nel Signore che chiede di nascere in noi, finalmente, il Dio della Pace, il solo, in cui trovare le ragioni vere per cui vivere vale la pena”.
Mariagrazia