II DOMENICA DI QUARESIMA
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 9, 2-10)
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.
Dal deserto alla visione; dalla domenica delle tentazioni a quella della luce. Oggi Marco vuole portarci ad una comprensione più profonda del Figlio di Dio per ravvivare la nostra fede in Cristo: una sosta riposante prima di riprendere, nella pianura, i duri sentieri che conducono al Calvario.
Gesù prende con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li porta su un alto monte, loro soli. Ritroveremo questi tre discepoli sul monte degli Ulivi (Marco 14,33) nell’estrema angoscia di Gesù come immagine di contrasto con la trasfigurazione, sebbene i due episodi siano inscindibilmente legati tra loro.
Il monte come luogo della particolare vicinanza di Dio: il monte della tentazione, il monte della sua predicazione, il monte della preghiera, il monte della trasfigurazione, il monte dell’angoscia, il monte dell’Ascensione. Il monte come luogo della salita, non solo della salita esteriore, ma anche dell’ascesa interiore; il monte come un liberarsi della vita quotidiana respirando l’aria pura della Creazione, il monte che offre il panorama dell’ampiezza della Creazione e della sua bellezza; il monte che ci eleva interiormente e ci permette di intuire il Creatore. Luca è l’unico ad aver indicato lo scopo della salita: “Salì sul monte a pregare”.“Fu trasfigurato davanti a loro” dice Marco. Gesù si trasfigura mentre prega. La trasfigurazione è un avvenimento di preghiera; diventa visibile ciò che accade nel dialogo di Gesù con il Padre: l’intima compenetrazione del suo essere con Dio. Nel suo essere uno con il Padre, Gesù stesso è Luce da Luce; luce come Figlio che risplende dall’interno. Mosè ed Elia, che avevano ricevuto la rivelazione di Dio sul monte Sinai, ora sono a colloquio con Colui che è la rivelazione di Dio in persona. La Legge e i Profeti parlano con Gesù; nel vangelo di Luca parlano di Gesù: “della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme” (9,31). Il loro argomento di conversazione è la croce intesa come esodo di Gesù, un uscire da questa vita, un attraversare il “Mar Rosso” della Passione e un passare nella Gloria. Mosè ed Elia sono essi stessi figure e testimoni della Passione. I tre discepoli sono sconvolti dalla grandezza dell’apparizione: intuiscono la propria miseria e sono quasi paralizzati dalla paura. Tuttavia Pietro prende la parola, anche se nel suo stordimento “non sapeva che cosa dire”. Pronuncia parole estatiche nel timore ma anche nella gioia della vicinanza di Dio. Vuole rimanere lì e sembra dire al Signore: “Dimora nella mia vita”. L’aspetto glorioso che Gesù assume sul monte Tabor non è che l’anticipazione di quello che, con la sua Resurrezione, si manifesterà non solo in sé stesso, ma in tutti coloro che lo seguiranno nel suo cammino.
La Trasfigurazione è un evento da capogiro, un anticipo di Resurrezione; sena dubbio un cammino in salita che porta molto in alto verso una meta che il simbolo dell’altura esprime e indica come sede dell’Altissimo. E’ un lampo di eternità in un mondo oscuro e fuggevole; un ideale umanamente irraggiungibile senza il tocco trasformante della Grazia di Dio. E’ la manifestazione della sua natura divina.
Nella Trasfigurazione di Gesù dobbiamo leggere la nostra. Anche per noi c’è un salire mistico. Il senso della Trasfigurazione è rappresentato dalla luce……bisogna chiudere gli occhi per non precipitare. Questo squarcio di luce è caratterizzato dall’imperativo di Dio: “Ascoltatelo”.
La voce che scende dall’Alto ci attraversa, ci illumina, ci riscalda. L’appello di Dio è a riconoscere in Gesù il Figlio: una solenne proclamazione della dignità filiale. Gesù è diventato la stessa Parola divina della rivelazione, è la Torah vivente. Si ripete la scena del Battesimo all’inizio della vita pubblica di Gesù; e inoltre, quando Gesù sarà sul Calvario, la voce del centurione romano dirà: “Veramente Costui era Figlio di Dio”. Sono i tre svelamenti della vita di Gesù. Gesù è la tenda sacra sopra la quale si trova la nube della presenza di Dio, nube che avvolge “nell’ombra” ora anche gli altri. E’ la “Shekinah”.
E’ un incontro vivo, entusiasmante, di occhi aperti e cuore che palpita con il Signore. Sul Tabor della nostra vita, davanti ai nostri occhi, oggi stesso può trasfigurarsi il Signore. Guardiamo ed amiamo con apertura sempre maggiore, senza frontiere ristrette. Il panorama si apre davanti ai nostri occhi, gli orizzonti si allargano, si amplia il nostro sguardo. Bisogna ascoltare Gesù: il rivelatore del Padre: è Lui il punto di arrivo della storia dell’Antico Testamento; è Lui il punto di partenza di un’Alleanza nuova e definitiva. Il racconto raggiunge il suo apice nell’imperativo “Ascoltatelo”. Chi ascolta Gesù diventa come Lui. AscoltarLo significa essere trasformati; la Sua Parola guarisce, cambia il cuore, dona bellezza e luce nella notte. I discepoli conservano questa esperienza misteriosa ma devono ridiscendere; rimane nella memoria l’eco dell’ultima parola: “Ascoltatelo”. La visione cede all’ascolto. Il mistero di Dio è ormai tutto dentro Gesù, così come il mistero dell’uomo.
Anche ognuno di noi può fare un’esperienza viva e vivificante, chiamati a dare tutto di noi stessi, diffondendo luce, speranza, amore. Nell’ascolto del figlio di Dio si dischiudono nuovi orizzonti: tutta la realtà si trasfigura, diventa trasparente e comprensibile. In questo splendore, ogni voce e ogni segno, come pure la sofferenza e la morte, hanno il potere di svelare il senso luminoso e glorioso della vita nuova in Cristo. Scopriremo in noi e intorno a noi il bene, che nonostante le apparenze contrarie, c’è ancora nel mondo, contempleremo la luce della generosità che, nonostante tanto egoismo, brilla ancora negli occhi di tanti; gusteremo la purezza che splende sul volto di tanti giovani; vedremo che il Tabor continua. Ma forse saremo tentati di fermarci in tale gioiosa contemplazione, di accontentarci dei risultati raggiunti, cioè di piantare le tende dicendo a noi stessi: “E’ bello stare qui” ovvero “Io mi sforzo di stare da solo vicino a Cristo”. Il gustare Cristo non ci deve distaccare dagli altri; bisogna invece andare verso di loro, piantare le tende tra gli uomini, perché il vivere, il testimoniare Cristo tra gli uomini è indispensabile per poterli salvare. Per questo Gesù è sceso dal Tabor ed è andato tra la folla!
Vero discepolo del Signore non è colui che si ferma egoisticamente alla contemplazione del bene, ma colui che, contemplando il bene, sente in sé le ansie del mondo intero e “pianta le proprie tende” nel cuore dell’umanità.
Carlo e Concita Bene